<Siamo gente dura dalle pupille dolci,
foglie al vento pregne di clorofilla…>

FRANTUMI DI UNA REGGIA AZZURRA

 

<Un libro nuovo per idee e forma narrativa…>. <Poesie – quasi un poema>. E’ tutto ciò ed è “la conquista del vero” la raccolta “Frantumi di una reggia azzurra”, del 1966, autoedizione “nascosta dietro l’inesistente sigla milanese dei Fratelli Muscente”. <Con quest’opera – puntualizza una nota – l’autore ha raggiunto il suo zenith che potrà da egli essere ripetuto ma non superato>. In essa sono contenute liriche già apparse sulle riviste “Il Ponte” di Firenze e su “Palaestra”. Per farsi pubblicare da “Il Ponte” e per attirare l’attenzione sulla propria opera Di Leo inventò di aver trovato quelle poesie… Di averle avute dai parenti di un giovanissimo poeta abruzzese, Antonino Teseo, nato a Campotosto il 20 maggio ’44 e che si era ammazzato nel luglio del ’65. Raccontò, ancora, che il suo amico si era ucciso gettandosi da un burrone e che aveva lasciato scritti preziosi. Riuscì, con questo stratagemma, a creare un caso letterario. Ma dopo un po’ il “trucco” fu scoperto: a svelare l’identità del vero autore fu lo scrittore Giuseppe Rosato, scrittore di Lanciano.
   In “Frantumi” Clemente Di Leo avverte: <Certamente, quando avrai finito di leggere questo libretto che Ti si perde fra le mani, dovrai riprendere a fare ciò che stavi facendo un attimo fa; e forse Ti pentirai di aver contratto le mie poesie col Tuo piatto di pastasciutta.
  Ma non avercela con me. Io sto di un dito sopra queste macchiate pagine di carta, l’unica consistenza che Ti rimarrà in consunzione>.
Ecco la prefazione, di Edvige Rossi Lamberti: <Con “Frantumi di una reggia azzurra” Clemente Di Leo diviene un’esperienza conchiusa, seppure sempre rinnovabile. Come Rimbaud, egli a men che vent’anni ha creato e determinato il suo mondo poetico, mondo che bada più al contenuto che alla forma della parola.
  La Poesia è per Di Leo anzitutto un rifiuto della realtà. Dice in un appunto che mi ha mandato: “Mi sono ribellato all’esistenza divenendo forma astratta e puramente gratuita. Ma così non valgo un’albicocca”. E’ ben cosciente della inutilità tangibile della Poesia sino ad affermare che non esiste il Poeta ma il corpo che Lo regge; tuttavia sa anche che è la Poesia a dar senso alla materia, se disse ad una donna alquanto superficiale con una sicurezza mista a superbia: “E’ inutile che cerchi di sfuggirmi. Tu sei fatta di carne ed hai bisogno dei miei occhi”.
 Crede che la letteratura non gli appartiene in nessun modo. “La voce di Ungaretti ed i baffi di Quasimodo mi fanno ridere, ridere a crepapelle”. Perché? Perché egli odia la serietà della cultura, essendo un ignorante. “Non scrivo per far poesie: scrivo per una esigenza di riflessione personale, ed ogni mia carta scritta è per me sempre automaticamente secondaria poiché è una ripercussione visibile della mia voce atona”. Ed ancora: “Non sono poeta-letterario ma Poeta dell’Essenza. Non appartengo alla poesia delle lettere ma a quella vissuta, sentita nella verità del mio Spirito. Voi non saprete mai Questa Poesia. Questa Poesia sono Io, è legata a me stesso, ed è pertanto in tanti miei sguardi, in tanti miei soliloqui, è in indeterminate mie avventure ed evocazioni di cui voi non avete visto e non vedrete mai l’eternità”.>
 <Naturalmente – prosegue Rossi Lamberti – questo che parla così non è quel ragazzo biondo che mi venne a trovare a Pescara circa tre mesi fa, con un giaccone striato a vivi colori e con una voce profonda e calda che convinceva: no, non è Clemente Di Leo uomo, ma Poeta, il Poeta che sta in lui e non riesco ad afferrare. Bisogna allora che noi annulliamo i suoi discorsi assurdi e lo esaminiamo come realmente s’inserisce nel campo della letteratura, poiché per noi non è altro che quello che si rivela attraverso le lettere e la cultura che egli odia ma che pur avrà ben acquisite.
 Clemente Di Leo scrive dagli otto anni. Ha alle spalle dodici anni di esperienza espressiva attraverso la serenità dell’infanzia, le crisi dell’adolescenza, la formazione della giovinezza. Ha bruciato oltre duemila versi. Col titolo di Cimeli ha pubblicato nel 1964 un volume di poesie composte dai tredici ai sedici anni, insieme a qualcuna che giunge sino al tempo della prima lirica di questa raccolta. Finora ha ingannato le riviste spacciandosi per raccoglitore di scritti postumi di un certo Antonino Teseo, ma esse lo hanno accettato per il suo talento e non perché era “morto”. Ho qui lettere di vivo interessamento per i suoi scritti da parte di riviste come Poesia (Varese), Dimensioni (Lanciano), La Fiera Letteraria (Roma), Omnia (Roma), Il Ponte (Firenze), Palaestra (Maddaloni), solo per citarne alcune; e da parte degli editori Mondadori di Milano e Rebellato di Padova, i quali si rammaricano di non poter pubblicare subito un’opera come “Frantumi di una reggia azzurra”, apprezzata unanimamente dalla loro commissioni di lettura.
 Ma veniamo a Frantumi. Oltre 50 di questi “pezzi” furono composti di getto tra marzo e maggio del 1965, però la prima “Pescara” è del 3 ottobre 1964 e l’ultima “La vita” è del 29 marzo 1966. Segue dunque un arco di tempo di un anno e mezzo maturato da quasi tre anni di carenze creative. L’opera poggia su un’architettura prestabilita. Si presenta come una piramide di 86 blocchi sempre pronta a sfasciarsi e ricomporsi, e si divide in tre parti principali, oltre al silenzio nascituro di Preamboli: dapprima assistiamo alla creazione dell’io e al suo determinarsi (La mia reggia e Amori regali);  dipoi allo scontro fra l’io ed il mondo (Discesa sulla terra, Amori Terrestri e Vincitori e vinti); ed infine all’oscuramento ed all’annullamento dei valori e della posizione acquisita (Canti della notte ed Amori notturni). Tutto sa di compiuto ma, come dicevo avanti, non è che l’autore sia finito sul numero 86: egli è sempre pronto a muoversi da un blocco ad un altro, decomponendo e ricostruendo la sua piramide. Questo “moto” troppo libertino è indice di inquietudine e di un nesso di vivere che non regge di fronte all’autenticità di se stesso né davanti alla società. Da qui nasce un certo abbandono al mondo intero ed alla sua stessa esistenza che può ricordare vagamente l’ambiguità intima di Baudelaire. Allora Di Leo si mette a dormire con un cane e le lucertole: la sua poesia ed il suo corpo vaniscono, si sprofondano nel più assoluto silenzio; e nella coscienza di questa totale nullità si risveglia, e si rituffa nel mare della vita con potenza e vigoria nuove negate al filo piatto di una vita comune. E’ da questa “resurrezione” e dalla “coscienza orgogliosa della propria straordinaria nobiltà”, come commenta Zagarrio, che Di Leo trae il “perno che lo regge”.
  Infine stiamo attenti al suo linguaggio pastoso e lievitante sempre di significati nuovi. Il suo “stagno” è la posizione che ognuno deve crearsi per cui vedersi chiaramente con le cose circostanti; la sua “Milano” non è quella geografica ma è un mondo nettamente diverso se non opposto a quello della “Contea”; il suo “Ponte di Sydnei” non è quello reale ma lo stato di immobilità e di freddezza che alcune volte lo raggela; le sue varie “Copenaghen”, “Pechino”, “Senigallia”, “Johannesburg”, “Pescara” ecc… assurgono a simboli di modi di amare. Questo, s’intende, non era meccanicamente studiato, anzi l’incontrollato lirismo di Di Leo è spesso causa di deficienza di un affinamento estetico della sua opera>.

Di seguito l’elenco delle poesie contenute nel testo:

FRANTUMI DI UNA REGGIA AZZURRA
 Fratelli Muscente Editori – Milano  1966

I PREAMBOLI
1. Nascita
2. I miei occhi
3. Non parla la pietra
4. Non specchiarti
5. Lo stagno
6. La notte
II LA MIA REGGIA
7. Dirupi d’Abruzzo
8. Tempo di Dei
9. La Contea dei ginepri
10. La felicità del Conte
11. Non esisto
12. A se stesso
13. O querce benedette
14. A caccia di frutta
15. Gabbiani di Bretagna
III AMORI REGALI
16. Dico cose belle
17. Terre immacolate
18. La ragazza verde
19. In alto c’è la luna
20. Scoppiato è l’amore
21. Musica e carne
22. Hai musica d’acque
23. Non è volo
24. La mia musica
25. Mattino d’aprile
26. Il lamento del corvo
IV DISCESA SULLA TERRA
27. O Terra d’oggi
28. Milano
29. Siamo gente dura
30. I resti del Sud
31. Le madri del Sud
32. Incontri
33. Non sai la terra
34. Antartide
35. Vivere
V AMORI TERRESTRI
36. La belva sacra
37. Le città
38. La contessa
39. Stanca fanciulla
40. Figlia di Vienna
41. Amore a Copenaghen
42. Amore a Pechino
43. Senigallia
44. Pescara
45. Stoccolma
46. Germania
47. Donna di Tahiti
48. Queste donne
49. So la forza
50. La vita
VI VINCITORI E VINTI
51. Il mio verde
52. Pastore di Castiglia
53. Atene
54. Messico
55. Le vacche del Mysore
56. Il signore di Bombay
57. Il padrone di Detroit
58. Ultime parole
59. Il fascista
60. Confessione di guerra
61. Le rovine
62. Davanti al Gomata
63. Sull’Olimpo
VII CANTI DELLA NOTTE
64. Cinema
65. E’ la Nona sinfonia
66. Ho perso me stesso
67. Notte a Venezia
68. Nella notte
69. E cosa mai vorrai
70. Torino
71. Ritorno
72. Notte vera
73. Un nuovo mattino
74. Agli Dei trovati
VIII AMORI NOTTURNI
75. Canterei mille secoli
76. Tacete, bimbe
77. La tua voce
78. Mi chiami malvagio
79. Le acque del porto
80. L’indiana
81. Il bastone dell’inglese
82. Amai la negra
83. Sul Tribunale
84. Luna piena
85. Fui musica soltanto
86. La mia arpa