<Volato sull’ultimo cielo
inoltre
non può starci
che una pagina bianca>

CIMELI

Cose non comuni/ non si possono capire/ da comuni individui”. Così Clemente Di Leo presenta “Cimeli”, la sua seconda raccolta di versi, composti dalla fine del ’59 al giugno del ‘64. Ritornano i tre nomi del testo dell’anno precedente: Rocovic, Fosco e Di Leo, che compare nuovamente in veste di editore. Un’opera che contiene “34 carmi novissimi – chiarisce in copertina il poeta – che narrano di favolosi cimeli – attorniati da uomini che li credono pietre – dei quali si sconsiglia la lettura per evitare la immaginabile corsa dei lettori al ricchissimo luogo che purtroppo non può accontentare tutti”. La nota introduttiva, ancora a firma di Leo Fosco, racconta: <Nell’ora più critica della letteratura italiana, adesso che la sfrontata pubblicità e premi spesso scandalosi accecano le masse, ecco sorgere la luce di Massimo Rocòvic, nato appena nel 1946, che tra il superficialismo dannunziano e l’inaridito e quasi estinto ermetismo resterà certamente una delle voci poetiche più autentiche e singolari del nostro novecento. Estraneo ad ogni corrente, per suo innato amorosi è educato principalmente ai classici italiani, ripudiando in pieno la poesia contemporanea>.  
  Concetto che sarà ripreso successivamente. In “Epigrammi”, infatti, Di Leo bacchetta: <Montale Quasimodo Ungaretti… Siete tre ruscelletti magri… Tu Montale ti sei lesso a contatto con la Manica e il Corriere…>. A Quasimodo: <Salvatore… Comunista potevi diventarlo prima o tornare al sud se tanto ti piaceva>. Ancora: <Ungaretti, che simpatico che sei. Appena sapesti di valere non hai saputo più cantare>. Giù anche contro Pavese. E a Calvino? <I tuoi libri lo sai, valgono una H>.
  <Ciò – continua la presentazione di “Cimeli” – spiega la sua forma alquanto rude e talvolta antiquata; ma assolutamente non possiamo negargli la grandiosa nocevolezza del suo respiro e la impareggiabile liricità che sono proprio dei grandi. Annullando circa duemila versi, il Rocovic ci presenta il meglio di se stesso, poeta in maggior parte dai quattordici ai sedici anni>.
<Da questi “Cimeli” – evidenzia ancora – già si può dedurre la complessa personalità dell’autore. Il suo pensiero è sempre vacillante sui capitali problemi del bene e del male, della vita e della morte, dell’anima e di Dio; sì che se non vi fosse “Preludio”, che sembra li sintetizzi e li risolva tutti, rimarrebbero insoluti. Egli si è isolato dal mondo esterno e si è raccolto nella superiore natura di poeta. Il suo mondo esterno, quindi, non viene meditato da lui come uomo partecipe alla vita comune ma come artista staccatosi ed elevatosi sopra di esso>. E così l’adolescente Clemente Di Leo già sente <il fetor dell’Italia> – cioè le infinite miserie della realtà circostante – <e ne fugge, creando l’imponente altare della propria fantasia>.

 

 

 

 

Di seguito l’elenco delle poesie contenute nel testo:

CIMELI
Edizione Principe-Clemente Di Leo, 1964

O remoto angolo                           
Arbusto
A primavera
La canzon di maggio
Sogno
La sera
Vita e morte
Notturno
Carme campestre
La vita trionfa
Al gufo
Due novembre
Frammento lirico
Gli agonizzanti
Quadri a Selvaggia
Momento
Prigioniero
Mattino
Ripiove
La rana
Primo amore
Capriccio
Canto antico d’una fanciulla egiza
Notte serena dopo una nevicata
Nostalgia
Frammento di Savonarola
I cavalli di Maratona
Preludio
Canto d’un pigmeo d’Africa
Per la morte di un uomo
Sinfonie d’estate